sabato 4 aprile 2020




Il processo di immunizzazione fa del corpo (e della mente) di ciascun cittadino una fortezza da proteggere e da isolare. Le forme di avversione i moltiplicano, il movimento del ritrarsi diventa spontaneo, la fobia del contatto è la norma. Ecco, dunque, il nevrotico cittadino, ossessionato da minacce, pronto a seguire ogni regola igienica e sanitaria, che si comporta sempre come se vivesse in tempo di peste, che si consegna a una democrazia medico-pastorale, di cui non ha difficoltà a riconoscersi paziente. Politica e medicina, diritto e sanità, ambiti eterogenei, si sovrappongono e si confondono nella democrazia immunitaria. L’azione politica tende ad assumere modalità medica, mentre la pratica medica si politicizza.
Anche qui il nazismo ha fatto scuola, per quanto scandaloso sia ricordarlo nella democrazia attuale. 


 
 Il cittadino-paziente, cui è in fondo preclusa l’esperienza dell’altro, è talvolta sopraffatto da un’oscura nostalgia della massa. Vorrebbe quasi tornare a immergersi per emanciparsi da tutta la negatività della fobia del contatto. Lo fa talvolta, in modo, però, sottilmente regolamentato, negli stadi sportivi o nei concerti. Per il resto è abituato a schermi e filtri; con mesta rassegnazione accetta persino i paradossali effetti dell’immunizzazione, tra cui una gran quantità di malattie autoimmuni che colpiscono il corpo iperprotetto.
La democrazia immunitaria ha un potente effetto anestetizzante, quasi narcotico. Questo dicono già da qualche anno i filosofi della biopolitica. Immunitas, ha mostrato Roberto Esposito è l'opposto di Communitas. Dove prevale l’immunizzazione viene meno la comunità, 
 Donatella Di Cesare - La Lettura- - 16-2-20

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