Il primo settembre del 1939 - lo stesso giorno in cui i
carri armati nazisti varcarono la frontiera della Polonia - Robert Oppenheimer
e Hartland Snyder pubblicarono un articolo sul volume 56 della « Physical
Review». Nell'articolo i fisici americani dimostravano al di là di ogni dubbio
che, «quando una stella sufficientemente pesante avrà esaurito le sue fonti di
energia termonucleare, essa collasserà e, a meno che la sua massa non si riduca
per fissione, radiazione o espulsione, tale contrazione continuerà
indefinitamente», formando il buco nero che Schwarzschild aveva
profetizzato, capace di accartocciare lo spazio come un foglio di carta
ed estinguere il tempo come fosse la luce di una candela, senza che nessuna
forza fisica o legge naturale possa evitarlo.
Karl Schwarzschild (1873-1916), matematico, astrofisico, primo a immaginare i buchi neri
Courant lo ascoltò assorto. Poco prima che gli infermieri
venissero a prenderlo per caricarlo su un convoglio diretto a Berlino,
Schwarzschild gli fece una domanda che lo tormentò per il resto della sua vita,
anche se in quel momento Courant pensò che stesse delirando, che si trattasse
solo dell'allucinazione di un soldato moribondo, della pazzia che si affacciava
alla sua mente approfittando della stanchezza e della disperazione. Se la
materia poteva assumere questo stato mostruoso, gli disse Schwarzschild con
voce tremante, esisteva un corrispettivo nella mente umana?
Una concentrazione
sufficientemente alta di volontà, milioni di esseri umani asserviti allo steso
fine, le loro menti compresse nello stesso spazio psichico avrebbero innescato
qualcosa di simile alla singolarità? Non solo Schwarzschild era convinto che
fosse possibile, ma che sarebbe accaduto nel suo Vaterland. Courant cercò di
calmarlo. Gli disse che non vedeva alcun segnale della tragedia che
Schwarzschild temeva, e che non poteva esserci niente di peggio della guerra in
cui già si trovavano. Gli ricordò che la psiche umana era un mistero più grande
di qualsiasi enigma matematico, e che non era saggio proiettare le idee della
fisica in ambiti così lontani come la psicologia. Ma Schwarzschild era
inconsolabile. Farfugliava qualcosa circa un sole nero che si affacciava
all'orizzonte e che, un giorno, avrebbe potuto ingoiare il mondo intero,
lamentandosi che ormai non c'era niente da fare. Perché la sua singolarità non
dava segnali d'allerta. Il punto di non ritorno -il limite oltre il quale non
si poteva andare senza rimanere intrappolati -non era indicato in alcun modo.
Chiunque l'avesse varcato non avrebbe avuto speranza, il suo destino sarebbe
stato segnato, qualunque percorso l'avrebbe condotto dritto alla singolarità. E
se quel limite è così, gli chiese Schwarzschild con gli occhi iniettati di
sangue, come si fa a sapere quando lo si è oltrepassato? Courant fece ritorno
in Germania. Schwarzschild mori quella notte.
Benjamin Labatut - Quando abbiamo smesso di capire il mondo? - pag. 56-58