giovedì 28 dicembre 2023

 

«Se guardi un gruppo di animali qualunque - leoni, zebre, elefanti -, quel che vedi è piatto, in due dimensioni soltanto» mi spiega. «Ma quando li conosci individualmente, quando conosci la loro personalità e sai chi era la loro madre e chi sono i loro figli, ecco che si aggiungono dimensioni nuove».

 In una famiglia, un elefante può apparire regale, pieno di dignità, nobile. Uno ti colpisce invece per la timidezza. Un altro è un bullo, e in tempi di magra, per procurarsi il cibo, si comporterà in modo molesto; un altro ancora è riservato; e un altro, infine, si mostrerà «platealmente» incline al gioco. (...)


Il gruppo di Fanny si unisce a quello di Felicity. Nelle famiglie degli elefanti non conta soltanto che cosa sei - non conta solo che sei una femmina di quarantotto anni. «Conta che sei Felicity, della famiglia FB, e che hai quarantotto anni» spiega Vicki. Conta chi sei tu. Sono vivi, e sono importanti gli uni per gli altri. Questo è ciò che conta davvero. 

Carl Safina - Al di là delle parole - pag. 32 e 85-6




Opere di Ilse Bing

L’occhio, se si sofferma a lungo su cose e persone in modo disinteressato, è privo di potere, mentre se vede solo ciò che vuole vedere, la prevaricazione  prevale sulla condivisione. In questo sguardo, passivo e attento nel contempo, entrano gli altri e ogni esclusione riesce più difficile, chè dovresti usare il potere di vita e di morte non solo su te stesso, ma anche su tutte le persone e cose che osservando a lungo sei diventato e sono te stesso.

Fabrizia Ramondino - L'isola riflessa - pag.14

giovedì 21 dicembre 2023

 

Mappa del mondo di Hereford 1280 c.

Allora inizia a diventare evidente perché la mappamundi di Hereford può aiutare 

a capire chi, come me, dà di matto per le mappe. Quella pelle di vitello mette a fuoco
con formidabile esattezza almeno quattro ragioni per non considerarci dei pazzi.
Uno. Le mappe, le carte geografiche, i mappamondi non sono tanto rappresenta-
zioni del mondo com'è, ma del mondo come l'uomo lo pensa. Dunque, apparente-
mente servono a navigare, a viaggiare, a portare una carovana al di là del deserto e
una chiatta fino alla foce del fiume: ma in realtà servono a viaggiare nel cervello de-
gli umani, e spesso sono la radiografia del loro cuore.
Due. Le mappe sono sintesi, e in questo senso, sono un movimento muscolare, fisico, animale. Sono, sempre, una contrazione, che fa fuori un sacco di mondo per
stringerne una porzione e inchiodarla in modo che non possa scappare. Le mappe
sono una zampata da animale spaventato, e ogni mappa lascia il segno dei suoi artigli sulle nostre paure: in particolare su quella di perderci, la più feroce che c'è.
Tre. Le mappe non fanno distinzione tra mondo fisico e mondo percepito: usano
indizi che provengono da tutt'e due le fonti. Anche le più esatte non sono esatte, non
possono esserlo, e questo dà loro una vibrazione di incertezza: quella vibrazione è il
nido in cui gli umani covano l'uovo dell'immaginazione. Per dirla in termini oggi di
moda, le mappe sono uno di quegli oggetti in cui la realtà rivela la sua essenza più autentica, quella di essere un miscuglio di fatti e storytelling: il risultato di un'operazione che somma cose che accadono e il nostro modo di raccontarle. Le mappe sono un manuale sulla realtà scritto per deficienti.
Quarto. Le mappe sono belle. Alle volte bellissime. Alle volte struggenti. Alle volte poetiche. Alle volte epiche. Alle volte spettacolari. Alle volte surreali. In ogni caso
sono belle, lo sono praticamente sempre. In ciò rovesciano uno dei luoghi comuni
più radicati tra gli umani di una certa cultura: credono, quelli, e insegnano, che la
bellezza porta alla conoscenza. Se non addirittura alla verità. Le mappe stanno lì a di-
mostrare invece il contrario: che la conoscenza porta alla bellezza. Che il sapere produce eleganza, Che lo sforzo di mettere in fila ciò che si sa disegna alla fine una figura bella.                                                                                                                       Chiunque ama le mappe cova questa convinzione sotterranea: ci riconosciamo da lontano, e davanti a molte cose abbiamo lo stesso sorriso appena accennato, di chi la sa più lunga seppure in modo mite e silenzioso.

Alessandro Baricco, da Robinson del 27 - 11 - 2016


Ho letto da qualche parte che alla terra restano solo un paio d'anni buoni. Fra poco farà troppo caldo per viverci. Do per scontato che arriverà prima la mia fine che quella del mondo, la mia mente scivola già verso l'oblio. Certi giorni vanno meglio di altri ma quando va male sono come un bambino convinto che se si chiudono gli occhi il mondo sparirà. Presto sarò polvere sotto una lapide e col tempo anche la lapide diventerà polvere e non esisterà più nulla.
Prima che succeda volevo mettere per iscritto certe cose che ho amato e ricordarvi che, per adesso, resisto. Il mio cagnolino ha paura dei tuoni. La sera bevo il tè e leggo il giornale. Quando metto i tulipani alla finestra, si aprono verso il sole. In lontananza c'è qualcuno che mi chiama.

Michael Bible - L'ultima cosa bella sulla faccia della terra - Pag.135

martedì 28 novembre 2023

 

Biella 27-11-2023 Ass. Teatrando - Uomini in scarpe rosse

[…] riuscire ad accorgerci che anche noi mietiamo vittime, che anche il nostro agire lascia dietro di sé, sempre, delle vittime. Siamo profondamente umani quando ne siamo consapevoli e quando riusciamo – e se ci riusciamo, siamo splendidi – a stare al passo delle vittime.

Alessandro Dehò - in AA.VV L'acqua insegnata dalla sete - pag.52


 


Bisogna prenderlo sul serio, l'errore. 

Non solo prenderlo sul serio ma addirittura serve avere il coraggio di precipitare nell'errore e nell'orrore dell'uomo. 

Bisogna entrarci dentro, sporcarsi le mani. 

Solo quando siamo arrivati lì, le nostre parole possono essere credibili, solo quando siamo scesi nel baratro oscuro che ospitiamo possiamo riuscire a dire parole che abbiano qualcosa di vero. 

Alessandro Dehò - in AA.VV. L'acqua è insegnata dalla sete - pag.47-8


domenica 29 ottobre 2023


 Le parole del futuro | Libertà e Giustizia

 Vado al bosco per perdonare le parole,

come nella stanza di un bambino che dorme,

in punta di piedi con la sobria sollecitudine

nelle suole del passo provvisorio.

Chandra Candiani - Pane del bosco - pag.10