domenica 31 marzo 2024

 


Il primo settembre del 1939 - lo stesso giorno in cui i carri armati nazisti varcarono la frontiera della Polonia - Robert Oppenheimer e Hartland Snyder pubblicarono un articolo sul volume 56 della « Physical Review». Nell'articolo i fisici americani dimostravano al di là di ogni dubbio che, «quando una stella sufficientemente pesante avrà esaurito le sue fonti di energia termonucleare, essa collasserà e, a meno che la sua massa non si riduca per fissione, radiazione o espulsione, tale contrazione continuerà indefinitamente», formando il buco nero che Schwarzschild aveva profetizzato, capace di accartocciare lo spazio come un foglio di carta ed estinguere il tempo come fosse la luce di una candela, senza che nessuna forza fisica o legge naturale possa evitarlo.


Karl Schwarzschild (1873-1916), matematico, astrofisico, primo a immaginare i buchi neri

Courant lo ascoltò assorto. Poco prima che gli infermieri venissero a prenderlo per caricarlo su un convoglio diretto a Berlino, Schwarzschild gli fece una domanda che lo tormentò per il resto della sua vita, anche se in quel momento Courant pensò che stesse delirando, che si trattasse solo dell'allucinazione di un soldato moribondo, della pazzia che si affacciava alla sua mente approfittando della stanchezza e della disperazione. Se la materia poteva assumere questo stato mostruoso, gli disse Schwarzschild con voce tremante, esisteva un corrispettivo nella mente umana?



Una concentrazione sufficientemente alta di volontà, milioni di esseri umani asserviti allo steso fine, le loro menti compresse nello stesso spazio psichico avrebbero innescato qualcosa di simile alla singolarità? Non solo Schwarzschild era convinto che fosse possibile, ma che sarebbe accaduto nel suo Vaterland. Courant cercò di calmarlo. Gli disse che non vedeva alcun segnale della tragedia che Schwarzschild temeva, e che non poteva esserci niente di peggio della guerra in cui già si trovavano. Gli ricordò che la psiche umana era un mistero più grande di qualsiasi enigma matematico, e che non era saggio proiettare le idee della fisica in ambiti così lontani come la psicologia. Ma Schwarzschild era inconsolabile. Farfugliava qualcosa circa un sole nero che si affacciava all'orizzonte e che, un giorno, avrebbe potuto ingoiare il mondo intero, lamentandosi che ormai non c'era niente da fare. Perché la sua singolarità non dava segnali d'allerta. Il punto di non ritorno -il limite oltre il quale non si poteva andare senza rimanere intrappolati -non era indicato in alcun modo. 



Chiunque l'avesse varcato non avrebbe avuto speranza, il suo destino sarebbe stato segnato, qualunque percorso l'avrebbe condotto dritto alla singolarità. E se quel limite è così, gli chiese Schwarzschild con gli occhi iniettati di sangue, come si fa a sapere quando lo si è oltrepassato? Courant fece ritorno in Germania. Schwarzschild mori quella notte.

Benjamin Labatut - Quando abbiamo smesso di capire il mondo? - pag. 56-58


Nessun commento: