lunedì 27 febbraio 2017


Ma cos’ha il comico di molto istruttivo? Ha che mostra in tutta evidenza che c’è qualcosa di dissociato interno alla parola e al pensiero, cosa che non è però solo del comico, ma di tutto il parlare umano (che sia parola non artificiale, cioè non di una macchina o di Adamo ed Eva), solo che in genere la dissociazione non si vede, o non ci si bada. Col comico si vede che Dio ci ha cacciati e confusi, oppure che Dio non c’è mai stato e noi cerchiamo di rimediare alla nostra mista natura, oppure si vede che possiamo sfruttare quella che è la nostra fortuna (di non essere macchine, di non essere angeli e neanche animali). Serio e comico (quando siano poetici, che p come dire parole in vita e aperte all’illimitato) sono dentro lo stesso fenomeno della parola multipla, solo che il segno da più diventa meno, da somma a differenza; ma non c’è il punto zero in cui il segno si inverte, perché è ampissima la zona d’ambivalenza, nella quale c’è un sospetto di comico, o viceversa un significato di gran serietà. Anzi estremizzando io direi così: che la parola è sempre comica, dal punto di vista di Dio Onnipotente, e quando un uomo parla, lassù tutti i cori degli angeli ridono, ma deve essere anche la ragione per cui l’uomo è stato creato, come intervallo buffo tra due infinità senza sorprese. Ciò che appare serio è il grado minimo ( o convergente) della dissociazione, con l’incanto di un interno a sorpresa, pur senza la reazione esplosiva; ma siamo sempre lì. Il comico che è in direzione della divergenza mostra meglio la verità, ed è come un avviso: non si creda l’uomo ad esempio di poter scrivere bene, come scriverebbe Adamo ad Eva, che era così perfetto, letterario e noioso, nei biglietti che lasciava, che Eva ha voluto smuovere ad un certo punto la situazione, e ricominciare nell’errore e nell’imperfezione, con la quale però si gode.

Ermanno Cavazzoni - Il limbo delle fantasticazioni - pag92-93



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