mercoledì 16 febbraio 2011


foto di Mimmo Jodice

Lo sguardo addestrato a lanciare intorno delle occhiate profondamente inquiete in brevi sequenze è uno sguardo deformato. Nel nuovo ambiente, dove la maggior parte della gente non ce l’ha, fa l’effetto di qualcosa che guizza sul volto.
Lo sguardo estraneo che ci si è portato appresso è una cosa vecchia.
Di nuovo ha soltanto che, in mezzo agli altri guardi integri, lo si nota.
Non lo si può eliminare dall’oggi al domani, forse non lo si potrà mai.
Di questo sguardo le persone integre se ne accorgono alla svelta. Credono che questo sguardo si sia sviluppato adesso e che siano loro stessi e il loro ambiente la causa di questo modo di scrutare. Riferita a questo sguardo, ho sentito usare già più volte, da parte di persone integre, la parola "contestatario". E intendevano dire che, con questo sguardo "contestatario", non dovevo meravigliarmi se nel paese da cui venivo mi avevano trattato male. Quest’affermazione comporta che sia stata io a costringere la dittatura a perseguitarmi e non essa a impormi questo sguardo.
Che la gente di qui si mostri così infastidita, così infondatamente e smisuratamente allarmata nei confronti di chi è estraneo, tanto da distanziarsene come per istinto, tutto ciò è qualcosa che ha a che fare con questo sguardo.
Non è che io voglia prendere le difese dello sguardo estraneo.
Esso fa il suo lavoro senza badare a chi non c’entra nulla, rivela il proprio nervosismo perché non può fare altrimenti. Nello scompartimento ferroviario, al supermercato, nella sala d’attesa o nel negozio di fiori affronta gli altri, osservandoli in una maniera vivace e penetrante a cui non sono abituati.
Spiana volti e gesti di sconosciuti, pervenendo a rapide constatazioni, come si è esercitato a fare per anni e anni: gli basta un’occhiata e ha già incorporato la decifrazione.
Per chi è integro ha la stessa scarsa indulgenza che quello ha per lui.
Gli capita di trarre conclusioni errate, spesso drastiche, che non vengono corrette. Lo sguardo estraneo si mette aggressivamente in difesa, senza che ce ne sia alcuna necessità.
Ha bisogno dello stato d’allarme a cui è abituato, della continua irritazione in brevi cadenze, si ricarica con chi gli sta casualmente di fronte, si serve di persone che non c’entrano in alcun modo. Proietta su di queste la malevolenza che gli occorre per replicare con un atteggiamento difensivo, attribuisce loro: insensibilità, freddezza, perfidia. E, se chi gli sta di fronte è cordiale, lo incolpa di ipocrisia.
Lo sguardo estraneo non ce lo si può accattivare, dal momento che esso mescola con la sua vita passata gente che non ha nulla a che farci, si ritiene offeso ed è incline alla presunzione.
E' ben possibile che lo sguardo estraneo col suo continuo atteggiamento provocatorio — che però non ha alternative — sia corresponsabile dell’ostilità che suscita in chi ne è il bersaglio incolpevole.
Mette a repentaglio se stesso come se avesse qualcosa da nascondere.
Nello sguardo estraneo si annida la doppiezza degli oggetti insignificanti che gettano ombre significative, l’opposizione del denudarsi per farsi crisalide.
Esso somiglia alle cose del suo mondo sotto sorveglianza d'un tempo. (…)

foto di Mimmo Jodice

Che lo sguardo estraneo sia corresponsabile dell’effetto che fa sulle persone integre è soltanto un aspetto della questione. Anche la gente integra assume un atteggiamento difensivo senza che ce ne sia alcuna necessità. Anche loro proiettano sullo sguardo estraneo quelle motivazioni di cui hanno bisogno per sfuggire il soffio della vita danneggiata. Nello scricchiolìo fra la gente di qui e gli estranei sono due i partiti in gioco. A proposito di ciò che bisogna intendere per sguardo estraneo, però, il contenuto del concetto è stato coniato da quelli di qui, dagli integri. E’ il loro paese, la loro lingua. Hanno fatto della loro opinione una definizione condivisa in cui non si può più cambiar nulla: un occhio estraneo reagisce allo stimolo di un paese estraneo.
Alla gente integra questo convincimento torna utile, distanziarsi dagli estranei è umanitariamente lecito.
Se il danneggiato dà una diversa spiegazione del proprio sguardo estraneo, la si rifiuta a piè pari.
Fa paura rendersi conto di quante macerie uno come lui porti con sé in un mondo che funziona in bell’ordine.
La definizione condivisa: "Un occhio estraneo reagisce allo stimolo di un paese estraneo" implica la speranza che questo sguardo cessi di esistere, una volta abituatosi alla novità del paese. (…) Considerare lo sguardo estraneo la conseguenza di un ambiente estraneo è tanto più assurdo in quanto è vero il contrario: esso deriva dalle cose familiari, delle quali ci viene sottratta l’ovvietà.
Nessuno è disposto a rinunciare all’ovvietà, ognuno dipende da cose che restano docili a sua disposizione e non perdono la propria natura. Cose con cui si può trafficare senza rispecchiarsi in esse.
Se ci si comincia a rispecchiare, ciò che segue può soltanto andar giù a precipizio, da ogni piccolo gesto si lanciano occhiate verso l'abisso.
Sentirsi in accordo con le cose è prezioso perchè ci lascia vivere. La si chiama ovvietà. Essa esiste soltanto finchè non la si percepisce.
Credo che l’ovvietà sia quanto di più rilassante ci sia dato.
Ci mantiene a debita distanza da noi stessi. E il modo più perfetto di risparmiarsi, quello di non dover tener conto della propria presenza.
Ed è la conseguenza più gravosa, allorché l'ovvietà vien meno, il fatto che gli esseri umani si ritrovino depauperati non di singole componenti enumerabili della propria esistenza, ma che tutt’in una volta diventi loro impossibile ricondurre molte cose ad un’unitarietà con se stesse.
Si sviluppa un sensorio che guizza e sussulta senza posa. La continua percezione di sé ha qualcosa di incestuoso con la realtà circostante e di adulterino con la propria persona. I nervi sovreccitati ce li si sente in corpo, alla lettera, come dei filamenti e non li si può strappar via.
Ci si stanca di se stessi e bisogna amarsi.
Herta Muller - Lo sguardo estraneo - pag.44-55

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