sabato 1 febbraio 2020

 In Whitman su ogni semplice analogia finisce per prevalere uno slancio mistico di identificazione, perché il poeta è l’uomo in grado di vivere tutte le vite, e il suo punto di vista non potrà, se la sua è vera ispirazione, che aspirare all’universale. Ecco il supremo paradosso della poesia di Whitman quando raggiunge il suo limite di intensità e chiaroveggenza: il canto del singolo, proprio perché scaturisce da un’esperienza irripetibile e inimitabile, è il canto di tutti. Perché la materia di cui è tessuto questo song of myself è proprio ciò che non è lui, cose e persone che gli sono entrate dentro o ha percepito uscendo da sé stesso, proiettandosi e rispecchiandosi nell’alterità.                    



Ed ecco, in un famoso elenco che sembra un po’ il compendio della sua poesia, il falegname che leviga la sua tavola, il cacciatore di anatre che avanza con passo felpato, il pazzo incurabile che viene portato al manicomio, il fumatore d’oppio con le labbra socchiuse, la prostituta che camminando strascina il suo logoro scialle, i manovali che camminano in fila indiana con il secchio in spalla e innumerevoli altri rappresentanti di un’umanità sempre nobile nell’aderenza al destino, scolpiti uno a uno dal verso che li nomina e con un pugno di sillabe trasforma l’effimero in eterno.                                                                                     


opere di Giancarlo Vitali

E se questo è il loro essere, «così più o meno sono io».                                        Dove la cosa più geniale e memorabile, davvero degna di un grande poeta, è quel «più o meno», perché non si può nemmeno negare del tutto che le differenze esistano, e che la commedia umana sia degna di essere raccontata nella sua infinita varietà. Ma tutto ciò che vive è legato dalla profonda solidarietà del creato: porta in sé il duplice mistero della bellezza e della morte.  Whitman potrà così apparire indelebilmente, con tutti i suoi difetti, come il vero, l’autentico poeta. Colui che ci ha insegnato a non mettere limiti all’empatia, e dunque a non soccombere alla triste prigionia dell’identità. Perché alla fine ha sempre ragione lui, noi siamo tutti gli altri, tutti gli altri 
esistono in noi. «Più o meno»: e dunque in modo anche più vero.

Emanuele Trevi su Walt Whitman - La Lettura 26/5/2019


Nessun commento: