William Turner - Pescatori di notte
Mentre
la nave fendeva il mare nero a est della Nuova Scozia, l’asse orizzontale si
inclinava leggermente, da poppa a prua, come se, nonostante la sua grande
solidità d’acciaio, la nave fosse inquieta e potesse risolvere il problema di
una collina d’acqua soltanto attraversandola a tutta velocità; come se la sua
stabilità dipendesse dalla dissimulazione del terrore da galleggiamento. Lì
sotto c’era un altro mondo, questo era il problema. Un altro mondo dotato di
volume ma non di forma. Di giorno il mare era una superficie blu con onde
spumeggianti, una realistica sfida nautica, e il problema diventava
trascurabile. Ma di notte la mente si immergeva nel nulla cedevole-
violentemente solitario- su cui viaggiava la pesante nave d’acciaio, e in ogni
flutto in movimento si poteva scorgere uno sberleffo alla fissità delle
coordinate, si capiva quanto un uomo sarebbe stato realmente ed eternamente
perduto se fosse finito dieci metri sott’acqua. La terraferma non aveva la
dimensione della profondità. La terraferma era come essere svegli. Persino in
un deserto senza mappa ci si poteva inginocchiare e prendere a pugni la terra
senza che quella cedesse. Naturalmente anche l’oceano aveva una superficie di
veglia. Ma in ogni punto di quella superficie si poteva affondare e scomparire.
Jonathan Franzen - Le correzioni - pag. 251

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