lunedì 6 gennaio 2020

William Turner - Pescatori di notte
Mentre la nave fendeva il mare nero a est della Nuova Scozia, l’asse orizzontale si inclinava leggermente, da poppa a prua, come se, nonostante la sua grande solidità d’acciaio, la nave fosse inquieta e potesse risolvere il problema di una collina d’acqua soltanto attraversandola a tutta velocità; come se la sua stabilità dipendesse dalla dissimulazione del terrore da galleggiamento. Lì sotto c’era un altro mondo, questo era il problema. Un altro mondo dotato di volume ma non di forma. Di giorno il mare era una superficie blu con onde spumeggianti, una realistica sfida nautica, e il problema diventava trascurabile. Ma di notte la mente si immergeva nel nulla cedevole- violentemente solitario- su cui viaggiava la pesante nave d’acciaio, e in ogni flutto in movimento si poteva scorgere uno sberleffo alla fissità delle coordinate, si capiva quanto un uomo sarebbe stato realmente ed eternamente perduto se fosse finito dieci metri sott’acqua. La terraferma non aveva la dimensione della profondità. La terraferma era come essere svegli. Persino in un deserto senza mappa ci si poteva inginocchiare e prendere a pugni la terra senza che quella cedesse. Naturalmente anche l’oceano aveva una superficie di veglia. Ma in ogni punto di quella superficie si poteva affondare e scomparire.
Jonathan Franzen - Le correzioni - pag. 251













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