giovedì 28 novembre 2019



Per mettere allo scoperto il paradosso della trasparenza gli opacisti parlano di burocrazia, quella specie di malattia autoimmune che paralizza la società contemporanea. Per burocrazia non intendono l’opposto della trasparenza, bensì il suo inseparabile rovescio, la sua stessa ombra. Ebbene sì, Kafka è
il loro maestro. Strappare semplicemente il velo che copre una pratica nascosta? La trasparenza non è questo. Richiede invece un apparato astruso e costoso. Ciò emerge nell’imperativo del «dar conto». La continua necessità di
giustificare, riferire, legittimare, mobilita un’armata di contabili chiamati a produrre una gran quantità di perizie, formulari, resoconti, nel tentativo infinito di verificare, accertare, far sapere, mettere al corrente. Alla realtà si aggiunge paradossalmente uno strato di realtà per renderla più trasparente, si complica per semplificare. Non è che gli opacisti si rifiutino di pagare il prezzo dovuto alla trasparenza vagheggiando un mondo senza più frodi. Il punto è che ne vedono la portata ben al di là della lotta alla corruzione.
 Della burocrazia scorgono tutta la vischiosità. È come una colla: più si tenta di rimuoverla, più si attacca alle dita. Per limitare gli effetti deleteri dei regolamenti burocratici servono ulteriori, nuovi regolamenti burocratici. Onnipresente ovunque, il potere degli uffici non si lascia mai afferrare neppure per un istante; ogni ufficio rinvia a un altro in un’infinita, opprimente catena tentacolare.
Così l’imperativo della trasparenza solleva incessantemente il problema dell’oscurità. Ormai l'obbligo della trasparenza è infatti un mero imperativo economico. La politica che insegue la pubblicità, che si richiama alla nitidezza incolore nè di destra né di sinistra), cede il passo all’amministrazione, si riduce a governance. La post-politica dell’onestà trasparente che non cambia i rapporti socio—economici. anzi li conferma.
Agli apostoli zelanti della trasparenza assoluta gli opacisti oppongono il diritto al segreto. Nella politica, come nell’esistenza. E a tal fine mettono in questione anzitutto il mito della trasparenza. Si presume di fare a meno di ogni mediazione, si immagina un’immediatezza: l’occhio aderisce all’immagine, l’intelletto si conforma al reale. Il velo è strappato. Si potrebbe allora cogliere con mano la verità degli eventi, metterla in tasca, come possesso esclusivo che conferisce potere. Il mondo reale sarebbe riprodotto, anzi perfettamente duplicato. Ma i media che assecondano questa visione si autonegano, perché dichiarano superflua la mediazione, che è invece sempre indispensabile.
Analogo è il mito dell’autotrasparenza. La psicoanalisi lo mostra: nell’intimo di ognuno c’è sempre una crepa, una scissione che impedisce la coincidenza di sé con sé. Nessuno è trasparente a se stesso. Nel sé alberga un altro con cui l’io è costretto a convivere. Ecco perché opacisti non difendono un banale diritto alla privacy, come in genere si crede. La loro critica è più profonda e più significative sono le richieste. L’opacità non è un destino, un’ineluttabile fatalità, bensì è un diritto. Si tratta, cioè, del diritto al segreto.

Tilda Swinton ritratta da Fabio Lovino

Nel riprendere l’etica della cura di matrice femminista gli opacisti indicano nel segreto quella dimensione che, se non preservata, comprometterebbe l’umanità stessa dell’esistenza. L’effetto sarebbe non solo l’uniformità, ma la violenza che disumanizza. È questo il rischio ultimo della standardizzazione burocratica. Nel potere del segreto sta la libertà dell’esistenza. Così Édouard Glissant, il poeta della Martinica, ripensando la relazione a partire dall’opacità, rilancia la necessità di resistere contro la trasparenza riduttrice. E scrive: «Chiamiamo dunque opacità ciò che protegge il Diverso». Solo nel gioco di luce e ombra, dove l’altro in me e l’altro fuori di me viene rispettato, è possibile l’infinita, vitale differenziazione dell’esistenza. Se la burocrazia è il rovescio nascosto della trasparenza, la diversità è il volto prezioso dell’opacità. 

Donatella Di Cesare – su trasparenza e opacità – Espresso 21-4-19

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