sabato 4 maggio 2019


«La tragedia è qualcosa di non ebraico. .. ln questo mondo (il mio) non vi è tragicità». Così il tragico è alle spalle. Ecco allora non una via di fuga, bensì una via d’uscita: il linguaggio. Le metafore del varco, da cui l’opera di Wittgenstein è costellata, rinviano alla «parola liberatrice».




Si profila la svolta, quel ritorno alla filosofia, per il quale il termine usato nei fogli del Big Typescript è Umstellung, che vuol dire spostamento, adattamento, con-versione. Una redirezione dello sguardo su di sé e sul mondo, un’inversione grammaticale. Perché la crisi dell’Occidente è la crisi del linguaggio. Qui la diagnosi di Wittgenstein si accorda con quella di altri grandi filosofi del Novecento, come Heidegger. Solo la cura è diversa. Non è necessario risalire alle origini e all’originalità poetica; nella lingua quotidiana si dischiudono aperture e passaggi inattesi. Così è possibile superare quegli equivoci che gravano sulla vita non meno che sul pensiero. La rivoluzione passa per la grammatica.


Si comprende allora perché, in un celebre aforisma, Wittgenstein scriva: «Il lavoro filosofico è propriamente — come spesso in architettura — piuttosto un lavoro su sé stessi». Sta in ciò la «difficoltà intellettuale» che la distingue dalla scienza. La filosofia distrugge i vecchi idoli della metafisica — l’identità, il soggetto, l’interiorità — senza crearne nuovi. Questa è la battaglia contro «l’incantamento del nostro intelletto per mezzo del nostro linguaggio». Ma ciò non implica né una riforma, né tanto meno la riduzione del linguaggio alla logica, come pretendeva il Circolo di Vienna. Per Wittgenstein tutto si compie nella trama dei giochi linguistici che si giocano ogni giorno. Da qui prende avvio la «terapia» il cui scopo è mettere in guardia da. tutta quella metafisica incorporata già nella lingua. Il filosofo tradizionale fa come se il linguaggio fosse un semplice strumento neutro; il filosofo in rivolta, insofferente verso i fraintendimenti contenuti nella lingua, quotidiana, mostra «capacità di sofferenza». Ma la via per risolverli, o meglio, dissolverli, passa a sua volta per il linguaggio. «Il filosofo si sforza di trovare la parola liberatrice, quella parola che alla fine ci permette di cogliere ciò che fino allora, inafferrabile, ha sempre oppresso la nostra coscienza».




La terapia —« un tema su cui hanno insistito le nuove tendenze interpretative, da Stanley Cavell a Peter Sloterdiik, è sempre anche introspezione. Il. disagio, che non è avvertito da tutti, nasce dal disordine. Si manifesta così: «Non mi oriento più». Di qui l’immagine del filosofo che mette a posto una stanza. «In filosofia non gettiamo le fondamenta, ma mettiamo in ordine una stanza». Attenzione, però, l’ordine è uno degli ordini possibili. Come non c’è fondamento, così non c’è ordine definitivo. Altrimenti la filosofia di Wittgenstein non sarebbe diversa da un sistema filosofico. Non si dà la «pace nei pensieri».



E Wittgenstein non esita a esprimere il suo disaccordo verso chi intende l’ordine in modo normativo. «Ramsey era un pensatore borghese. I suoi pensieri, cioè, erano orientati a mettere le cose in ordine all’interno di una certa comunità sociale. Non rifletteva sull’essenza dello Stato, ma su come poter conferire un ordine razionale a questo Stato».

La notizia della morte della madre raggiunse Wittgenstein il 3 giugno 1926, quando si trovava ancora nel convento dei Frati misericordiosi di Hùtteldorf. Lì lo aveva portato la sua fuga disperata. Avrebbe voluto entrare in quell’ordine, ma fu ammesso solo come aiuto-giardiniere. Restò un monaco mancato. 


Rientrò a Vienna e, come oggi viene alla luce, quel rientro segnò il ritorno alla filosofia. Non trovò mai quiete. Riuscì, però, a introdurre nella vita quotidiana quella pacificazione che aveva provato sul fronte nei momenti di estrema angoscia. Era l’afflato etico che emergeva: «Se la vita è problematica, è segno che la tua vita non si adatta alla forma della vita. Devi quindi cambiare la tua vita; quando si adatterà alla forma, allora scomparirà ciò che è problematico». Scorgeva qui il vertice del lavoro filosofico.


Immagini di Avocado6
Donatella Di Cesare su Wittgenstein - La Lettura 7 - 4 - 2019

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