giovedì 4 aprile 2019



A rendere difficile la comprensione e l’accoglienza dell’umiltà tra gli atteggiamenti che permettono, ancora oggi, all’uomo di realizzarsi in pienezza sono due modi errati di “abitarla”. 
Il primo è quello del rinunciatario; di chi confonde cioè l’umiltà con la rinunzia a riconoscere ed accettare la verità di sé e degli altri per timore di doversi spendere per essa e di dover scegliere a partire da essa. Il rinunciatario è la caricatura dell’uomo umile. 
C’è, poi, il modo di pensare e di agire dell’arrogante, che poggia le sue parole e i suoi gesti sulla convinzione di bastare a se stesso. 
Il termine umiltà deriva da humus, che significa «suolo, terra». L’umiltà collega l’uomo alla terra, come alla sua origine. Nei miti sumeri e babilonesi il primo uomo viene creato con materiale preso dal suolo. lo stesso si legge nel libro della Genesi: l'uomo viene creato da Dio e plasmato dalla polvere della terra, animata dal suo «alito di vita» (Gen 2,7); un modo per -affermare, da un lato, la caducità e la debolezza dell’uomo e, dall’altro, per riconoscerne la grandezza.  È capace di umiltà solo chi è consapevole della sua origine, fatta di fragilità e di grandezza; solo chi è consapevole di non essere artefice assoluto né padrone indiscusso di sé e del mondo. Solo chi non è affetto dalla «sindrome del Padreterno» vive " nell’umiltà e lascia che l’umiltà segni le sue.” relazioni. Francesco d’Assisi voleva essere minor, vale a dire «piccolo», «umile» per poter essere «vicino» agli altri, «fratello» di coloro con cui si vive. Per Francesco «l’ideale non è cercare di essere sufficienti a se stessi, ma di condividere quanto si riceve e di accettare di aver bisogno degli altri fin nei piccoli particolari della vita i quotidiana» (A. Vauchez, Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino 2010, pag. 118); per Simone Weil l’umiltà è una qualità dell’attenzione ed è la virtù più necessaria per conoscere la verità.
Nunzio Galatino

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