sabato 14 maggio 2011


Manifestazione contro la guerra e le mine in Bolivia - Maggio 2011

Mio zio Dolfin era barbiere e ciabattino. Faceva certe scarpe che erano la fine del mondo. Ti toccava i piedi, li guardava e ritoccava, ti pigliava la misura con il centimetro e ti faceva due guanti sul piede, una cosa precisa precisa. Ma quante scarpe nuove vuole che ci facessimo noi morti di farne al mio paese? E chi vuole che - fatto pure una volta un paio di scarpe nuove — si permettesse poi di consumarle per doverle risolare? La gente da noi camminava scalza, come abbiamo poi camminato scalzi per tutto l’Agro Pontino fin che nel 1960 non e arrivato il benessere.
E non è neanche da dire che tu quelle scarpe nuove te le mettevi solo il giorno del matrimonio e poi quello del tuo funerale — dimodochè, portandotele via con te, tuo figlio quando si sposava era costretto a farsi fare le sue — poiché essendo nel Basso—Rovigotto praticamente tutti ferraresi, noi in quanto tali abbiamo pure il sacro rito e costumanza che il morto va via scalzo. Lei non vede in nessuna veglia funebre o camera mortuaria di Ferrara e Codigoro — ma pure a Pontinia e Borgo Hermada — un morto con le scarpe nella bara. Sempre scalzo. Sia maschio che femmina. Coi calzini puliti e nuovi di zecca. E pure con la cravatta al collo. Pettinato bene e tutto rasato e -- dentro le tasche che la gente non vede — pure un po' di soldi, le sigarette, l’accendino o i fiammiferi se fumava, e prima di chiuderlo col coperchio della cassa, la moglie e i figli gli mettono una bottiglietta di grappa e qualcosa da mangiare. Sono gli usi nostri. Certo gli mettiamo pure la corona del rosario tra le mani, ma assieme a tutta questa roba qua, perché sono usi millenari e non c’è ragione — dopo millenni e millenni che i morti se ne vanno così — di cambiare il modo di mandarli via. Come dice, scusi? Perché gli mettiamo i soldi?
Sono gli usi nostri, le ho detto, e perché è l’obolo di Caronte. Che ne sappiamo difatti noi di preciso come stanno davvero le cose, partiti di qua? Perché debbo far correre dei rischi al morto mio — pensa la gente — nel mondo di là? lo gli faccio il biglietto come s’è sempre fatto — e di prima classe — poi se gli ho pagato qualche extra o stazione in più, amen; ma non lo posso mandar via senza tutto l’accompagno che gli serve, o con una stazione pagata in meno. Che gli dice dopo al controllore? Ed è per lo stesso motivo che ancora oggi -- quando si costruiscono le case — prima di gettare le fondazioni il muratore lancia sul fondo della fossa un po' di soldi e di monete. Servono a placare gli dei, a chiedergli il permesso di violare senza eccessivi rischi la madre terra. Una volta ci si mettevano i cristiani sotto le fondazioni -- sacrifici umani — poi solo i soldi, l’obolo di Caronte che sublima il morto, sta al posto suo. E ogni volta che lei ancora oggi passa vicino a una fontana o a un pozzo — fontana di Trevi a Roma per esempio, o fontana della Palla a Latina - ci butta una moneta perche dentro di se, inconsciamente, lei pensa: "Cosi è come se fossi già morto e non posso più morire finché almeno non ripasso di qui". In ogni caso dalle parti nostre i morti — pur con qualche soldo — se ne vanno però scalzi. Scalzo sei entrato e scalzo te ne rivai. Veda un po' quindi quanti affari poteva fare dalle parti nostre un ciabattino provetto — un artista delle scarpe — come mio zio Dolfin.
Antonio Pennacchi - Canale Mussolini - Pag. 187-188

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