giovedì 24 dicembre 2009


L’occhio non aveva che da spaziare: la tavola era imbandita di fritti, sformati, sughi inventati sul momento, ogni ben di Dio. (…)
In tanti anni non c’era mi stato un piatto che assomigliasse a un altro. Non sapevi mai decidere se il boccone che avevi appena finito di mangiare veniva dalla terra o dal mare, se era cacciagione o pescheria, se nel suo corpo scorreva sangue o clorofilla, se camminava o si limitava a seguire il corso del sole. Nessuno lo sapeva, nessuno lo chiedeva, a nessuno importava. Il massimo a cui i convitati si spingevano era affacciarsi alla porta della cucina e ammirare le pentole che bollivano, i mestoli che sbattevano, i coperchi che fumavano, come una fabbrica a pieno regime diretta dalla nonna che si muoveva tra le cose automaticamente, senza usare gli occhi ma le dita.
Era consapevole del suo talento? Probabilmente no. Se qualcuno le domandava il segreto della sua cucina lei abbassava gli occhi e si guardava le mani, che un meraviglioso istinto spingeva a coprirsi ogni giorno di farina, come un guanto naturale, e che affondavano nei visceri dei tacchini in cerca del loro cuore o della loro anima. Gli occhi grigi della nonna ammiccavano dietro gli occhiali; occhi deboli,costretti a chiudersi per anni e anni davanti alla vampa dei forni e a misurare, con sottile esperienza, i più svariati ingredienti.
Nella sua cucina esisteva un solo imperativo:che alla fine i commensali si sentissero l’acquolina in bocca e gustassero il pranzo con tutto il cuore.
Le sue mani, come le mani della bisnonna prima di lei, erano quindi il suo mistero, la sua delizia, a sua vita. Le guardava spesso con stupore, ma non interferiva mai coi loro compiti, perché dovevano fare a modo loro.
E ora, per la prima volta in tanti anni, qualcuno le faceva domande, tentava la dissezione dei suoi piatti con la freddezza di uno scienziato;quando la virtù più apprezzata sarebbe stato il silenzio.

Ray Bradbury - L'estate incantata - pag.209

Nessun commento: