domenica 2 novembre 2025

Durante il pomeriggio Heinseberg e Bohr presentarono la loro versione della meccanica quantistica, che diventerà nota come l'«interpretazione di Copenaghen».

La realtà, dissero ai presenti, non esiste come qualcosa che prescinde dall'atto dell'osservazione. Un oggetto quantistico non ha proprietà intrinseche. Un elettrone non si trova in nessun luogo fisso finché non lo si misura: appare soltanto in quell'istante. Prima della misurazione non possiede alcun attributo; prima dell'osservazione non lo si può nemmeno pensare. Esiste in modo determinato solo quando viene rilevato da un determinato strumento. Tra una misurazione e l'altra non ha alcun senso chiedersi come si muove, cos'è o dove si trova. Come la luna per il buddhismo, una particella non esiste: è l'atto della misurazione a trasformarla in un oggetto reale.

La rottura che si annunciava era brutale. La fisica non doveva più preoccuparsi della realtà, ma di ciò che si può dire della realtà. L'essenza degli atomi e delle loro particelle elementari era diversa da quella degli oggetti dell'esperienza quotidiana. Vivono in un mondo di potenzialità, spiegò Heisenberg: non sono cose, ma possibilità. La transizione dal «possibile» al «reale» avveniva solo durante l'atto dell'osservazione o della misurazione. Nessuna realtà quantistica, dunque, esisteva in maniera indipendente. Misurato come un'onda, un elettrone sarebbe apparso tale; misurato come una particella, avrebbe assunto quest'altra forma.

 

Poi si spinsero oltre.

Nessuno di questi limiti era teorico: non si trattava di una falla nel modello, di un limite empirico o di un problema tecnico. Semplicemente, là fuori non esisteva un «mondo reale» che la scienza potesse studiare. «Quando parliamo della scienza della nostra epoca,» spiegò loro Heisenberg «parliamo della nostra relazione con la natura non come osservatori obiettivi e separati, ma come attori del gioco tra l'uomo e il mondo. La scienza non può più confrontarsi con la realtà nello stesso modo. Il metodo basato sull'analizzare, spiegare e classificare il mondo ha preso coscienza dei propri limiti, limiti che nascono dal fatto che il nostro intervento altera gli oggetti che indaga. La luce che la scienza getta sul mondo non cambia soltanto la nostra visione della realtà, ma il comportamento delle sue unità fondamentali». 

II metodo scientifico e il suo oggetto di studio non si potevano più separare.

 Benjamin Labatut - Quando abbiamo smesso di capire il mondo - pag.178-9

 

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