giovedì 2 gennaio 2020



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La mia città è un punto, vivo girando su me stessa, un piede, poi l’altro. Gli occhi allo spazio circolare e vorticante. Guardare e non toccare, girare e non fermarsi.
Un passo appena, vorticare ancora: la mia città è un cerchio. Circonferenza sottile e fragile. Girare e non calpestare, sussurrare, chiudere il perimetro in un abbraccio. Chè non lo minacci il vento né invada il mondo.
Grida lontane invadono la mia città, la infrangono. Il cerchio in frantumi, disperso il calore, rotto l’abbraccio. Gli occhi allo spazio lineare e ininterrotto.
Schegge di vetro devastano l’aria, le illumina il sole, le disperde il vento. Il cuore, senza abbraccio, è trafitto, vinto. Non può roteare di nuovo, non sa camminare ancora. Siede stanco. La stanchezza erige un muro, lo rinsalda la paura. 

fotografia di Kafirossafar Mohssen

Il cuore piange, si addormenta, per dimenticare il tempo, lo spazio infinito e terribile.
Poi ricorda. Sa guardare, può muovere un passo. Solleva gli occhi, si sposta appena. Alle spalle il muro, davanti il mondo. Lotta con se stesso per continuare a guardare, imparare a camminare.
La mia città è un muro. Cammino nel mondo, lo catturo con gli occhi, ne ascolto le storie. Dipingo ogni cosa sulla mia città, qualche abbraccio lo imprimo nel cuore. Cerco parole per raccontare.



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So che verrà la pioggia a lavare la mia città. Terremoti ne faranno macerie. Il cuore soffrirà ancora, ferito e sconfitto. Eppure corteggia le nuvole e la terra che trema. Sa che il suo destino è ripartire infinite volte, sfidare lo spazio, infinito e terribile.


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