Il nostro viaggio procedeva placido in quel pomeriggio di
riflessione.
Un fiume, col. suo corredo di cascate, mulinelli, riccioli e
gorghi, è forse l'elemento più espressivo di un paesaggio naturale; è quello
che va più lontano, che si sposta in maniera più evidente, dimostrabile e
incessante; quello più suscettibile di personificazione; il più vicino al
nostro concetto di vita e di morte.
Per generazioni gli uomini di tutto il
mondo, queste brocche a due zampe composte al settanta per cento d'acqua, hanno
visto i fiumi come sorgenti di vita ma anche come vie d’uscita dal mondo.
Nella
lingua degli indiani osage, la parola né significa allo stesso tempo
"acqua", "fiume", "linfa", "respiro",
"vita". Per gli antichi egizi e gli antichi greci l’aldilà si trovava
sull’altra sponda di un fiume, un confine che nessuno poteva varcare a ritroso.
(...)
Il mare è il vento reso visibile, ma il fiume è la terra che si fa
liquida. (...)
I viaggiatori fluviali, anche quelli non inclini alla poesia,
cominciano ben presto a pensare all’acqua come a un elemento amico od ostile,
dotato di una propria volontà, talvolta di una mente primitiva capace di agire
in maniera propizia o nefasta verso di loro. In questo paese le persone che
abitano sulle rive di un corso d’acqua chiamano se stesse con fierezza
"ratti dì fiume": un insulto autoinflitto per esprimere umiltà nei
confronti di una forza da cui dipendono la loro vita e i loro beni.
William Least Heat-Moon - Nikawa - pag.130
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